L'Enea, l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, ha sviluppato un progetto per riconvertire in petrolio, con un tasso del 90%, la plastica recuperata in mare e sulle spiagge. Un tipo particolare di petrolio, in realtà. Si tratta, infatti, di un olio leggero con, come spiega l'Enea, 'una miscela composta principalmente da idrocarburi lineari suddivisibili nei tipici tagli petroliferi (benzine, kerosene, gasolio, olio lubrificante, etc)';. E da questo petrolio derivato dalla plastica recuperata si potranno comunque produrre nuove plastiche, vernici, solventi e numerosi composti organici. Lo possiamo definire quindi un vero e proprio ciclo completo di riconversione.
Dalla plastica… al petrolio. Il progetto di Enea
Questo processo è stato realizzato nell'ambito di un progetto europeo firmato Italia e Croazia per la riduzione e un'innovativa gestione dei rifiuti. I risultati del progetto sono stati pubblicati sulla rivista scientifica online dell’American Chemical Society: ACS Sustainable Chemistry & Engineering. Ma come si è arrivati a questo risultato? La plastica raccolta in mare, spiegano gli scienziati dell'Enea è stata trattata con un particolare trattamento termo-chimico, la pirolisi. Un trattamento 'che consente di decomporre - a una temperatura al di sopra dei 400 °C e in assenza di ossigeno - il materiale plastico di partenza in olio e gas ricchi di idrocarburi potenzialmente sfruttabili per la produzione di nuovi combustibili e prodotti chimici”, spiega Riccardo Tuffi, ricercatore del Laboratorio ENEA di Tecnologie per riuso, riciclo, recupero e valorizzazione di rifiuti e materiali, che ha realizzato la ricerca insieme ai colleghi Lorenzo Cafiero e Doina De Angelis. “Per migliorarne ulteriormente resa e qualità – prosegue Tuffi – abbiamo utilizzato un catalizzatore, ricavato a sua volta dalla lavorazione di un materiale di scarto, ovvero le ceneri prodotte dagli impianti di gassificazione e di combustione del carbone. Si tratta di un rifiuto industriale la cui produzione mondiale annua ammonta a circa 1 miliardo di tonnellate; è considerato una potenziale causa di inquinamento ambientale mentre il suo utilizzo per la sintesi di catalizzatori potrebbe rappresentare un passo verso la sostenibilità dei processi produttivi”. Il campione di plastica considerato nello studio è stato poi convertito in idrocarburi, olio legger all'87% e gas per l'8%. Il problema è che recuperare la plastica idonea dal mare o dalle spiagge non è così semplice. La selezione del prodotto idoneo al riciclo, infatti, è molto più complicato e possono contenere anche tracce, come ovvio, di abbia, sale, conchiglie e alghe. La plastica inoltre in questi casi è più esposta ai processi di degradazione e all'ossidazione delle radiazioni solari. “Tutti questi fattori rendono il riciclo meccanico una sfida ardua mentre la pirolisi catalitica può essere considerata una delle opzioni più valide per il trattamento della plastica marina perché è in grado di gestire grandi quantità di rifiuti altamente eterogenei e non pretrattati”, sottolinea il ricercatore Enea.
La pirolisi, un'opzione (per ora) inesplorata dal mercato
La pirolisi per ora non è stata mai usata da nessuna azienda che lavora con i rifiuti marini. Quindi si tratta, almeno per ora, di un'opzione del tutto inesplorata dal mercato. “Nel prossimo futuro, invece, piccoli impianti di pirolisi installati nei porti potrebbero addirittura produrre carburante per le imbarcazioni a partire proprio dalla plastica recuperata in mare”, conclude Tuffi.